La famiglia Ciancia Perone
L’inizio, si trova in Piemonte e precisamente
in un piccolo paese, arroccato sulle montagne del Biellese Caprile che oggi
conta solo 213 anime.
Qui ha le proprie origini la famiglia Ciancia
Perrone e da qui che dobbiamo partire per raccontarvi questa storia che per
tanti aspetti risulta straordinariamente affascinante.
Non abbiamo qui fatto una storia
particolareggiata della famiglia, perché a noi interessa marginalmente salvo
per capire meglio le origini di Antonino, il capostipite del ramo veliterno.
Appunto Antonino era figlio di Antonio Ciancia
– Perrone e di Caterina Furno. Antonio era una personalità in vista nel suo
paese, dove ricoprì per un trentennio il ruolo di consigliere comunale.
Però era anche un valido arista decoratore –
affrescatore – ha lavorato in numerose chiese sia del territorio del biellese
che in quello del torinese.
Fu insegnante di disegno a Biella e
Torino. I Ciancia sono una famiglia di
artisti abbiamo notizia di Pietro (1837-1907) e Giovanni Antonio Mazzieti
(1842-1892) figli della sorella Maria pittori – decoratori.
Le opere di Antonio
Ciancia, sono state oggetto di studio da parte di storici dell’arte del
territorio in cui sono conservate.
Grazie alla loro
collaborazione possiamo offrirne un elenco quanto meno dettagliato:
Lavori eseguiti nel
Biellese:
1846 – dipinse il quadro
rappresentante “Il Transito di S. Giuseppe” per l’altare della Madonna delle
Grazie nella chiesa cattedrale di Biella.
1850 – dipinse le figure
nella decorazione della chiesa parrocchiale di Torrazzo, eseguita quest’ultima
dai fratelli Carlo e Nicola Belletti di Bioglio.
1851 - per la chiesa
parrocchiale di Viera di Rivò (Coggiola) dipinse la volta del Sancta Santorum e
rinnovò la pittura dell’ancona e dell’altare maggiore e, sul frontone della
facciata, dipinse S. Grato con a lato degli angeli.
1853 – Dipinse per la
chiesa parrocchiale di Vallanzengo il quadro raffigurante i santi patroni, “S.
Orso e S. Brigida”, in sostituzione di quello dipinto nel 1813 da Pietro Comola
di Valduggia.
1860 – restaurò la
decorazione interna dell’oratorio di S. Antonio Abate in frazione Zuccaro
(Coggiola); nello stesso anno gli fu affidata la decorazione dell’interno della
parrocchiale di Pray, per la quale aveva già dipinto “La Resurrezione di
Cristo” nella parte centrale del baldacchino scolpito nel 1843 da Giuseppe
Zaninetti di Crevacuore, detto “il Parentino”, e restaurato (o dipinto)
sulle pareti due grandi dipinti raffiguranti il “Sacrificio di Isacco” e la
“Deposizione dalla Croce”.
1861 – su incarico della
confraternita della SS. Trinità (Biella) decorò la volta della chiesa e dipinse
le stazioni della Via Crucis; nel 1864 la stessa confraternita gli affidò il
restauro dell’ancona dell’altare maggiore, delle statue dell’Addolorata, di due
angeli, del grande crocifisso e del Cristo Morente.
1862 – dipinse l’interno
della chiesa parrocchiale del Vernato.
1862-64 – ridipinse
l’intera decorazione dell’interno e l’esterno della chiesa della confraternita
di S. Carlo di Mosso Santa Maria.
1863 – dipinse un
gonfalone per la parrocchia di Casapinta.
1864 – decorò l’interno
della chiesa di Bulliana e, per la stessa chiesa, nel 1866, dipinse anche le
stazioni della Via Crucis e i Misteri del Rosario attorno alla nicchia della
Madonna.
1864-65 – realizzò le
decorazioni dell’interno della chiesa parrocchiale di Camandona e, nel 1872,
sempre a Camandona, decorò l’oratorio di S. Rocco e tutto l’edificio del
santuario della Madonna del Mazzucco, nello stesso santuario aveva già eseguito
degli interventi decorativi nel 1849.
1865 – eseguì le figure
sulla facciata della chiesa parrocchiale del Favaro.
1867 – dipinse il quadro
raffigurante La Cattura di Fra’ Dolcino, donato dalla famiglia
Cerino Zegna di Trivero al santuario di San Bernardo sul monte Rubello, in
occasione della festa dedicata al santo, un tempo pala dell’altare del
santuario, poi sostituito da una statua nel 1909, ora nella sacrestia della
chiesa Matrice di Trivero.
1870 – dipinse la
facciata della chiesa di S. Grato di Cossila.
1872 – gli furono
affidati i progetti per la decorazione della facciata della parrocchiale del
Vandorno di Biella, decorazione poi eseguita dal pittore Paolo Levis.
1873 – eseguì due grandi
dipinti rappresentanti “L’Annunciazione” e il “Natale” sulle pareti del
presbiterio della parrocchiale di Rialmosso.
1877-78 – eseguì la
decorazione della chiesa parrocchiale di Vergnasco e i dipinti della volta. Nel
1869 aveva già restaurato la facciata della stessa chiesa e dipinto a nuovo le
figure dei santi.
1879 – restaurò i
dipinti eseguiti nel 1825 dal pittore Avondo di Varallo nelle cappelle della
Via Crucis lungo l’antica strada mulattiera che collegava la chiesa
parrocchiale di Bulliana al santuario della Brughiera.
Lavori eseguiti nel
Torinese:
1874 – nella chiesa
parrocchiale di Sant’Agapito di Lombardore dipinse vari affreschi tra i quali
quelli raffiguranti “il Cardinale delle Lance che rimette le reliquie di S.
Gioachino in San Benigno”, in questo lavoro “oltre all’ottima prospettiva
architettonica, si osservano i vari ritratti delle persone che presero parte al
ricevimento accennato” e di S. Agapito “mentre risponde all’interrogazione che
fu cagione del suo martirio” (da “L’Eco dell’Industria”, 6.9.1874, p. 288).
Nel Comune di San
Martino Canavese affrescò tutto l’interno della chiesa parrocchiale: ai lati
del presbiterio “L’Ultima Cena” e “La cattura di Gesù”; sulla volta della
navata “La gloria dell’Immacolata e di Santa Costanza, il profeta Natan col Re
David, la samaritana al pozzo con Giacobbe”, e diverse altre figure di santi,
tra cui S. Martino (sulla grande cupola del presbiterio) e gli Evangelisti;
nella cappella di S. Bernardo (sita nell’omonima regione) realizzò il dipinto
principale, intorno al 1870, e nella chiesa di S. Francesco, in frazione Gatto,
realizzò vari dipinti.
Nella parrocchiale
di Volpiano oltre alla decorazione “costruì sopra il presbiterio una cupola di
oltre dieci metri di altezza, provvedendo così detto tempio di aria e di luce,
dando con ciò luminosa prova di essere, non solo eccellente pittore, ma altresì
un arditissimo architetto” (da “L’Eco dell’Industria”, 26 gennaio 1890, p. 3).
Dipinse anche le
parrocchiali di Lusigliè, di San Giorgio Canavese e alcune cappelle nella
parrocchiale di Barbania; nelle valli di Lanzo la parrocchiale di Viù; presso
Torino la chiesa dell’Abbadia di Stura e nel Vercellese la parrocchiale di
Arborio.
Gli abitanti di
Bulliana gli commissionarono un ex-voto raffigurante S. Bernardo da Mentone,
ancora oggi conservato nel santuario omonimo.
Eseguì anche dipinti
devozionali sui muri delle case: a Caprile un “S. Cristoforo con bambino”,
sulla facciata della casa parrocchiale e una “Madonna con Bambino” in frazione
Uccelli n. 41, nel 1865, e “una “Deposizione e santi”, in frazione Piasca
(questi due ultimi attribuiti); a Mosso “una “Madonna Ausiliatrice, in località
Rolando n. 9 (attribuita); a Trivero una “Madonna Ausiliatrice, in frazione
Giardino n. 52, datata 1880 (attribuita) e una “Sacra Famiglia”, in frazione
Pratrivero località Barbero n. 4, del 1852 (attribuita).
Utilizzando lo
stesso cartone realizzò tre dipinti della “Madonna con Bambino” assolutamente
identici: due a Trivero, in frazione Barbato n. 23 e in frazione Marone
(quest’ultimo non più esistente in quanto la casa è stata demolita nel 1983) e
a Pistolesa, nella frazione Squisso.
Nel 1882 partecipò (fuori
concorso) all’Esposizione Generale dei Prodotti del Circondario di Biella,
allestita presso il Seminario vescovile, con alcuni quadri (nel catalogo
dell’esposizione non è specificato di che genere).
Un lavoro in affresco completamente inedito di
Antonio Ciancia Perrone lo si trova a Velletri in una delle cappelle del civico
cimitero. Mi riferisco alla cappella Tata – Nardini, prima Nardini.
Si tratta della cappella della famiglia del
fratello di Lucia (sua nuora) Oreste. Molto probabilmente lo eseguì in un suo
soggiorno a Velletri magari per il matrimonio del figlio.
Oggi la cappella appartiene alla famiglia Tata
– Nardini, perché Oreste non avendo figli da Maria Vagnozzi adottò Ferruccio
Tata.
Antonio, sposa Angela Maccario figlia di
Antonio e Maria Brunetti, nata a Barbania (TO) nel 1823. dal loro matrimonio
nasce il 25 Aprile del 1851, un maschietto, al quale il parroco di Caprile il
giorno seguente impose i nomi di Gianni Antonio Marcellino.
Il piccolo crebbe nel culto delle arti, anche
il suo padrino era un artista faceva lo scultore, lo stesso Giuseppe Zaninetti
detto il parentino che aveva lavorato con Antonio alla realizzazione del
baldacchino della Chiesa di Zuccaro (Coggiola)
Il
piccolo Antonino, compie gli studi elementari, in paese, per poi fare quelli
secondari nella vicina Varallo di Sesia. Qui manifesta la sua inclinazione allo
studio delle arti.
Il padre gli fa frequentare la Reale Accademia Albertina di
Torino.
Si tratta di una tra le più prestigiose
accademie d’Italia, anche se il nome di Albertina rimanda a Carlo Alberto di
Savoia, a cui si deve la decisiva “rifondazione” dell’ Accademia nel 1833, le
sue origini sono molto più antiche.
A Torino già nella prima metà del seicento è
attiva una “Università dei Pittori, Scultori e Architetti, che diventa nel 1652
“Compagnia di S. Luca” e che assumerà per la prima volta – ma definitivamente
l’appellativo di Accademia nel 1678, quando Maria Giovanna di Savoia –
Nermours, vedova di Carlo Emanuele II, fonda l’Accademia dei Pittori, Scultori
e Architetti, ispirandosi al modello delle Accademie Parigine.
Dopo altre riforme sotto Vittorio Amedeo III
(1778) e poi durante la dominazione napoleonica,intorno al 1833 si attua una
vera e propria “rifondazione” ad opera di Carlo Alberto: alla “Regia Accademia
Albertina”viene assegnata una nuova sede nell’edificio tutt’ora
occupato;l’accademia viene inoltre dotata di una significativa pinacoteca dove
confluiscono le collezioni del Marchese Monsignor Mossi di Morano e i preziosi
cartoni gaudenziani già di proprietà sabauda.
In questo periodo arriva in accademia il
giovane Ciancia, e frequenta i corsi di disegno. Nel 1871 consegue il titolo di
insegnante e nel 1872 la patente per l’insegnamento nelle scuole tecniche –
normali e magistrali del regno.
Dopo altre riforme sotto Vittorio Amedeo III
(1778) e poi durante la dominazione napoleonica,intorno al 1833 si attua una
vera e propria “rifondazione” ad opera di Carlo Alberto: alla “Regia Accademia
Albertina”viene assegnata una nuova sede nell’edificio tutt’ora
occupato;l’accademia viene inoltre dotata di una significativa pinacoteca dove
confluiscono le collezioni del Marchese Monsignor Mossi di Morano e i preziosi
cartoni gaudenziani già di proprietà sabauda.
In questo periodo arriva in accademia il
giovane Ciancia, e frequenta i corsi di disegno.
Nel 1871 consegue il titolo di insegnante e nel
1872 la patente per l’insegnamento nelle scuole tecniche – normali e magistrali
del regno.
Mentre conseguiva la patente di insegnamento,
veniva bandito un concorso per insegnare disegno nelle Scuole Tecniche e
Normali di Velletri appena istituite.
Antonino lo vince a pieno titolo e nel mese di
Novembre del 1872 si trasferisce in città.
La famiglia Ciancia a Velletri
Antonino Ciancia Perrone
Caprile 25 Aprile 1851 – Velletri 26 Dicembre 1907
Antonino
arriva a Velletri nel mese di Novembre del 1872,dopo aver vinto il concorso per
insegnare disegno nelle istituende scuola tecnica e normale della città.
Velletri in quel momento era appena uscita dagli stravolgimenti istituzionali
dovuti all' annessione degli stati della chiesa al Regno d'Italia.
La
città non aveva perso invece la sua vocazione sociale e culturale attraverso
gli esponenti delle famiglie "notabili" che abitavano le sontuose
residenze nobiliari del centro storico. Sicuramente Antonino, che era un
giovane aperto mentalmente con vedute all'avanguardia per il tempo non ebbe
alcuna difficoltà ad inserirsi in quell'ambiente.
Velletri
era una città piena di menti colte che tenevano allo sviluppo intellettuale e
alla tutela e alla salvaguardia della grande patrimonio storico e artistico che
prima della seconda guerra mondiale faceva della "natia patria"come
diceva il cardinale Borgia una delle cento più belle città italiane. Basti
ricordare la benemerita associazione veliterna di archeologia storia ed arte,
fondata da Oreste Nardini nel 1925 alla quale avevano aderito alcuni dei
personaggi in vista nella vita città in quel particolare momento storico.
Storici
storiografi archeologi che attraverso i
loro studi hanno lasciato preziose fonti
per chi oggi si avvicina alla conoscenza delle patrie memorie.
Antonino
conosce Lucia Nardini.
La
famiglia Nardini era arrivata nella Parrocchia di S. Michele Arcangelo dalla parrocchia del SS.mo Salvatore proprio
in quell’anno.
Angelo
era figlio di Giuseppe sposa Adelinda Bianchi il 12 Agosto 1847 a San Michele Arcangelo
per mano del Parroco Del Sasso. I loro figli nascono però in Parrocchia di San
Salvatore
Maria
Cleofe Clara Nardini nasce il 13 Febbraio 1850 e muore l’ 11 Ottobre 1849.
Luigi
Ernesto Nardini nasce il 13 Febbraio 1850 e muore il 29 Gennaio 1854
Domenica
Sofonisbe Gilseda Maria Nardini nasce il 4 Ottobre 1852
Emilia
Firminia Penelope Nardini nasce il 6 Aprile 1854 e muore il
19 Aprile 1855
Oreste
Temistocle Elio Gabalo Nardini nasce nasce il 16 Gennaio
1862 e muore il 18 Maggio 1939 sposato con Maria Vagnozzi fu il fondatore del
Museo Civico Archeologico nonché Ispettore Onorario alle Antichità e Belle Arti
di Velletri.
Elvira
Clelia Nardini nasce il 18 Gennaio 1864 e muore il 30 Gennaio 1918 dopo due
matrimoni.
Lucia
Cesira Speranza Nardini nasce il 12 Dicembre 1855
quando conobbe Antonino aveva solo diciassette anni e lui aveva ventuno, tra i
due nasce un vero amore tanto che il parroco di S. Michele Arcangelo li unisce
in matrimonio il 23 settembre 1876. I ragazzi si stabilirono in Via Ginnasia
(attuale via Francesco Crispi) al numero 7 in una casa di proprietà dei Risi.
Il
parroco di S. Michele Arcangelo in uno stato delle anime dice che essi abitavano
insieme ai genitori di Lucia Angelo e Adelinda.
Il
parroco rileva questi dati nel 1890 e dice che la famiglia era composta da
ANTONINO di
anni 39
LUCIA di
anni 34
MARIO di
anni 14
EUGENIA
di
anni 12
LIDIA
di
anni 8
Con
loro abitavano i genitori di Lucia
ANGELO
del fu Giuseppe di anni 70
ADELINDA
BIANCHI di anni 71 di professione levatrice
EVELINA
NARDINI di anni 29
In
questo clima Antonino e Lucia hanno il loro primo figlio,un maschio venuto alla
luce il 24 Ottobre 1876 al quale il parroco di S. Michele Arcangelo D.
Spiridione Bertolini impose i nomi di Mario Innocenzo Costantino.
Mentre
diventava padre per la prima volta,il professore come era chiamato Antonino
svolgeva la sua attività di insegnamento notando una lacuna molto importante
nell'educazione dei giovani veliterni di quel periodo.
Tanti
di loro lavoravano nelle botteghe artigiane della città come apprendisti. Ora
sappiamo che gli artigiani non erano certo buoni insegnanti per i loro
apprendisti a quali insegnavano le briciole del mestiere a volte sfruttandoli e
anche sottopagandoli. Antonino capisce che questa era una lacuna da colmare e
propone al sindaco Galletti la nascita di una scuola serale che potesse dare ai
ragazzi le basi tecniche dei mestieri che svolgevano di giorno.
Naturalmente la giunta non ebbe difficoltà ad approvare il
progetto e la scuola prese vita in una stanza del palazzo delle maestre pie in
quella che oggi è via guido nati.
Intanto Antonino continuava ad insegnare nella scuola tecnica e nella casa di
via Ginnasia arriva una bambina. Nonna Adelinda raccoglie la piccola il 27
gennaio 1878 e il parroco di san michele gli impone i nomi di Maria
Geltrude.
La
bambina purtroppo vive solo quattro mesi muore infatti il 26 aprile 1878 ed e
sepolta in Santa Maria in Trivio. L'anno seguente arriva a portare gioia in via
Ginnasia una bimba che nonna Adelinda fa nascere
il 28
gennaio 1879 alla quale il parroco di S. Michele impone i nomi di Eugenia
Angela Delfina
Il
professore continua ad insegnare e a dirigere la sua scuola opera ammirata da
molti e gratificata con pubblici riconoscimenti. Dovranno passare due anni per
l'arrivo dell' ultima nata che viene alla luce il 15 ottobre 1882 alla quale il
parroco di san Michele impone i nomi di Lidia Rosa Giulia Nazzarena
Antonino
viene nominato da Re Umberto I cavaliere della corona d' Italia era il 1895.
Cinque anni prima la scuola era stata trasferita al piano retta dell' ex
convento dei terziari francescani in via Bandina (oggi via Luigi Novelli). Nel
1897 Antonino lascia la direzione della scuola perchè questa era incompatibile
con il suo incarico di insegnante a Massimo Gallelli.
Continua
ad insegnare fino al 1907 quando per salvare la figlia del fattore malata di
febbre se la prese sotto il mantello e cavalcando dal Cigliolo verso velletri
in una notte di tempesta si prese la polmonite che lo condusse al sepolcro il
26 dicembre di quell' anno.
Riposa
nel cimitero di velletri. Lucia sua moglie rimase con i figli nella proprietà
del Cigliolo della quale si prese cura il figlio Mario che quando muore il
padre aveva trentuno anni.
Lucia
Nardini si prende cura delle figlie durante la prima guerra mondiale ospita
nella sua proprietà anche alcuni
militari,diceva che quei ragazzi erano lontani dalle loro madri e lei che era
una madre con un figlio in guerra non poteva fare altro che dargli un poco di
conforto.
Lucia
muore a settant'anni nel 1926 dopo aver pianto la morte della figlia Eugenia il
23 Ottobre 1918 durante l'epidemia di
spagnola
I Ciancia nati a Velletri
MARIO CIANCIA PERRONE
Velletri 24 Ottobre 1876 - Roma 16 Gennaio 1940
Il
primo figlio di Antonino Ciancia Perrone e Lucia Nardini nasce in Via Ginnasia
numero 7 il 24 Ottobre 1876 il parroco di San Michele Arcangelo don Spiridione
Bertolini il 9 Novembre 1876 gli impose i nomi di Mario Innocenzo Costantino.
Il piccolo cresce nel culto delle arti e del bello.
Dopo
gli studi primari Mario frequenta la Regia Scuola Tecnica di Velletri dove
probabilmente fu allievo del padre. Mario conseguita la licenza nell'anno
scolastico 1892 - 1893 inizia a frequentare sulla spinta del padre l'istituto
delle belle arti di Roma odierna Accademia delle Belle Arti.
In
quel periodo a Via Ripetta studiavano alcuni giovani che poi sarebbero
diventati i massimi esponenti della cultura della pittura dal vero.
Si
tratta di un tipo di pittura fatta all'aperto fissando sulla tela scorci
dell'agro romano e di quello pontino ancora non bonificato. Mario stabilisce
con quei ragazzi un rapporto di stima e amicizia che durera' negli anni tanto
che la sua casa al Cigliolo era diventata un vero cenacolo di cultura e di
pensiero. Non era difficile trovarci Trilussa - Pascarella - Sciuti - Maccari -
Mancini quest'ultimo voleva fare un ritratto alla piccola Maria Annunziata
Filippi (Mietta) figlia della sorella di Mario Lidia e di Gioacchino Filippi
dei Conti di Pontercovo.
Ma fu
impossibile perchè la bambina non stava mai ferma. Anni dopo la Nobil Donna, scomparsa
nel 1993 ebbe a dire : "se avessi saputo chi era stavo immobile anche
per giorni interi
Mario
appena ventisettenne sposa il 25 Giugno
del 1903 una ragazza cinque anni più piccola di lui Adalgisa Erminia Graziosi
figlia di Pietro e Adelaide Emanueli dalla quale ha una figlia Alda nata il 26
Novembre del 1903 e morta a Roma il 28 Maggio 1975.
Nove
anni dopo nel 1912 nasce un maschio che venne battezzato col nome di Antonino
sua madre Adalgisa muore nel darlo alla luce. La vita di Antonino sarà molto
breve infatti a soli tredici anni nel 1925 muore per una cardiopatite acuta. La
vita del Ciancia viene stravolta da questi sue lutti. Vicina a quest'uomo
stravolto dal dolore una ragazza Gina Castrichella di appena venti anni.
Tra i
due nasce una simpatia che poi diventa amore, Gina stravolge la sua vita e i
suoi affetti e il 24 Ottobre 1925 sposa Mario nella chiesa dei Padri Cappuccini
a Velletri dalla loro felice unione il 1 Ottobre 1926 nasce un maschio al quale
venne imposto il nome di Marcello.
Il
piccolo lenisce il dolore del pittore della palude per la perdita di Antonino.
La vita artistica di Mario, inizia come già detto presso l’Istituto delle Belle
Arti di Roma (oggi Accademia delle Belle Arti) dove segue fino al 1897 il corso
di prospettiva.
Nel
1906 espone alla LXXVI mostra della Società degli Amatori e Cultori di Belle
Arti in Roma e l’anno successivo appena trentenne decorò il padiglione italiano
all’ Esposizione internazionale di Parigi. La prima guerra mondiale lo vede
volontario, venne destinato presso lo Stato Maggiore francese quale interprete
e disegnatore. Nel 1927 due anni dopo il matrimonio con Gina Castrichella
consegue due ambiti riconoscimenti, vince il concorso internazionale di pittura
a Bologna (lascito Curlanesi) con il quadro una sera a Viterbo ed ottenne il
Gran Prix e la Medaglia
d’Oro all’ Esposizione internazionale di Quinto (Ecuador).
Nel
1930 insieme all’amico Fernando Botti consegue il brevetto per un apparecchio
fotoelettrico contro i furti. Nel 1939 vieniva nominato Presidente della Scuola
d’Arte “Juana Romani” fondata dal padre Antonino nel 1876. La morte lo strappa
a tale incarico prima ancora che egli avesse potuto dare a questa istituzione
l’indirizzo delle sue notevoli capacità artistiche. Il 16 Gennaio 1940 Mario Ciancia
moriva a Roma lasciando un gran vuoto fra gli amici e fra tutti coloro che lo
avevano apprezzato come uomo e come artista.
Alcune testimonianze
Mario Ciancia rappresenta un personaggio alla ricerca continua nel mondo
della natura, fissando gli aspetti più significativi con un linguaggio
prevalentemente basato dall'espressione del colore.
La Sua figura mi è rimasta
impressa per la modestia e per la sicurezza del suo operare deciso nel
dipingere con spontaneità. Queste impressioni sono ancora vive proprio per
averlo conosciuto da vicino quando mi accoglieva nel suo studio, con altri
pochi giovani, per la fraterna amicizia che lo legava a mio padre.
Successivamente ho avuto modo di apprezzare il suo comportamento
esemplare di uomo semplice e
modesto quando venne nominato Presidente della Scuola d'Arte J. Romani nel 1939. Purtroppo la Sua collaborazione fu breve
per la morte che avvenne nel 1940, ma quel periodo per lui fu particolarmente
felice perché lo portò vicino al ricordo del
padre Antonio Ciancia che aveva creato quella scuola. La Sua sostanziale vocazione per
la pittura deriva dalla spontaneità dei mezzi espressivi determinati dall'uso del colore. Ancora oggi le sue
opere hanno la validità di trasmettere un messaggio positivo, anche se le condizioni di vita e di linguaggio
sono mutate notevolmente
L'impressione che si riceve osservando i quadri di Mario Ciancia è
quella di un pittore che fissa nel
tempo una profonda conoscenza della natura.
I suoi quadri
dispongono l'animo ad un godimento emotivo determinato dalla potenza del
colore,
le cui tonalità sono riconoscibili
in ogni Sua opera.
Arch. Marcello De Rossi
Preside “emerito” dell’Istituto Statale d’Arte “Juana Romani”
Ero molto piccola, avevo quattro o cinque anni, ma
ricordo benissimo questo episodio
della vita di zio Mario. Stavo con la mia famiglia, nella «vigna di nonna Lucia»
(la mamma di zio Mario e di mia madre), su al Cigliolo, dove spesso ci radunavamo
tutti di famiglia.
Un
bei giorno arrivarono, ospiti graditissimi, alcuni amici di zio Mario tra cui mi sembra, ma non ricordo
molto bene, ci fossero anche Trilussa ed Antonio Mancini. Erano quasi tutti
pittori, scultori, alcuni erano stati colleghi di
zio Mario all'Accademia di Belle Arti.
Dopo pranzo gli ospiti, zio Mario e mio padre iniziarono
a giocare a carte. Si erano divisi
in due gruppi; uno, di cui faceva parte zio Mario, giocava a scopone intorno ad un tavolinetto quadrato, grigio.
Ad
un certo punto i giocatori di scopone furono
chiamati dall'altro gruppo per non so quale motivo. Essi si alzarono lasciando
le carte sul tavolo, un po' sparpagliate, avendo finito una partita, o meglio,
una mano, perciò dovevano continuare. Zio Mario,
con velocità fulminea, dipinse alcune carte sulla superficie grigia del tavolo,
ne lasciò alcune vere, togliendo però le carte uguali a quelle dipinte.
Tornati, i giocatori si apprestarono a raccogliere le carte per iniziare la nuova partita... ma com'è come
non è, si trovarono tutte le dita macchiate di colore!
Maria Annunziata Filippi Cellucci
Il Prof. Mario Ciancia dal quale ho avuto tanti insegnamenti preziosi
sull'arte della pittura mi ha
trasmesso, oltre alle regole che bisogna conoscere per diventare pittore, le sue esperienze di grande Artista
sensibile e generoso.
La sua espressione limpida e onesta esprimeva la delicatezza del suo
modo di agire e sentire. Dalla
città si era rifugiato in campagna (Contrada Cigliolo) per essere più vicino alla natura. Amava dipingere i
suoi stupendi paesaggi su grandi tele perché, diceva, il quadro deve essere come una finestra aperta che deve
dare ristoro a chi lo guarda.
Il suo studio era ricavato da un rustico e accogliente chalet
dove dipingeva, riceveva gli
appassionati d'arte e impartiva le sue lezioni.
Parlava spesso nei suoi ricordi della Torre Paola (Circeo) ove aveva
alloggiato con gli amici Sartorio
e Serra, per riprendere i paesaggi della Palude Pontina nei suoi colori veri e
possenti.
Mi raccontava che da studente in Accademia, era al suo primo anno di
corso introdottosi in una classe
superiore alla sua mentre gli allievi si esercitavano in un impegnativo studio sulla prospettiva riprese la
scena con una tale perfezione da riceverne un altissimo elogio. Dei suoi insegnanti
ricordava spesso, oltre il Direttore dell'Accademia Filippo Prosperi, il pittore Petiti al quale era legato da
grande amicizia.
Maria Prosperi
Il nonno Luigi, grande cacciatore, non amava molto rispettare i divieti
di caccia e fu così che un giorno
alcuni vicini ormai stanchi delle sue continue scorrerie si recarono in caserma
per denunciare il fatto.
Immediatamente i carabinieri si recarono sul posto, ma visti inutili i
vari tentativi di conferire con il
nonno (questi si guardò bene di farsi trovare in casa) decisero di prenderlo di
sorpresa.
Lasciarono i cavalli ad un trecento metri dall'abitazione e procedendo a
piedi entrarono in casa, quando
nella penombra, il riflesso delle canne della doppietta appesa al muro richiamò
la loro attenzione. Mentre un carabiniere si dirigeva verso la parete l'altro gli faceva
notare le numerose cartucce che
giacevano su di un tavolo.
Giunto a qualche metro dal muro il carabiniere si fermò perplesso e
dietro le insistenze dell'altro
rispose: «io prendo il fucile e tu prendi la cartuccera»
Con quell'arma il nonno non poteva certo infastidire qualcuno dal
momento che era stata dipinta sul
muro dal papa!
Marcello
Ciancia
Purtroppo di mio nonno Mario non ho nessun ricordo diretto dal momento
che io nacqui dopo la sua morte.
La sua memoria è comunque viva in me sia attraverso il medium .della pittura che ci lega e, puzzle
dell'anima, quel biglietto di invito scritto da
mio nonno per l'inaugurazione della mostra di Latina che così recitava:
«Per quanto nei miei quadri sia rimasta quella
mesta poesia che dominava tutto il paesaggio,non bisogna dimenticare che sotto
quella dolce lusinga regnava la morte. Io vorrei che
tutti quelli che abbiano visitato anche per un breve passaggio questa terra
terribilmente malarica tornassero oggi per sentirsi al pari di me estatici e
commossi davanti al grande miracolo di bonifica e di redenzione».
Giorgio Ciancia
Mario Ciancia – i suoi amici –
i suoi contemporanei
Villa Ciancia, in contrada Cigliolo, era un
ritrovo per i grandi maestri vissuti a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Era
frequente trovarli a godere il fresco delle nostre ubertose campagne.
Mario, come abbiamo detto frequenta l’Accademia
delle Belle Arti di Roma e qui avrà come maestri e amici poi i pittori più
sensibili del suo tempo da Cesare Maccari famoso per gli affreschi della
sala gialla del senato a Giuseppe Sciuti interessato a quel verismo
storico che immancabilmente era il punto di partenza per ogni pittore che
usciva dall’accademia.
Ciancia però sentì soprattutto gli insegnamenti di altri artisti con
i quali condivideva identità di
scelte e di impostazione pittorica. Primo fra tutti Giulio Aristide Sartorio,
da cui mediò quelle intonazioni michet-tiane
che trapelano ed abbondanti da numerosi suoi lavori che rivelano appunto un
modo del tutto nuovo di ritrarre la natura con un'arte più libera e meno legata
alle fredde regole accademiche.
Anche Enrique
Serra gli fu amico e da lui apprese ed assimilò quella spiritualità della scuola spagnola che il Serra aveva nel
sangue e, specialmente, quella sensibilità coloristica che ritroveremo soffusa
in tanti suoi quadri.
E non poteva non
conoscere e non frequentare due tra i pittori più prestigiosi del gruppo dei XXV della Campagna
romana e cioè Onorato Carlandi il «pittore della luce, il cantore del
sole» da cui senz'altro apprese quel suo modo di rendere la «trasparente
chiarezza» dell'acqua e soprattutto Filiberto Petiti, di cui frequentò a
lungo lo Studio, che lo abituò a ritrarre la Campagna romana vedendola
più con i sentimenti che con gli occhi, quasi filtrandola attraverso la propria
sensibilità d'artista.
Questa casa — che
faceva parte dell'Azienda agraria arrampicata sul «Cigliolo» di Monte Artemisio, a cui il pittore non
disdegnò di occuparsi, specialmente dopo la morte del padre — vero e proprio
cenacolo di artisti ed intellettuali, così ce la descrive quel sensibile
critico d'arte che è Coriolano Belloni:
«la grande sala da pranzo affrescata, oltre che
dai suddetti artisti, anche dallo stesso Ciancia. Sulla parete di fondo vi
erano raffigurate delle sirene cullantesi sulle onde, nonché un fauno che suonava
il suo flauto. A sinistra vi era dipinto l'Autunno, con una donna
recante tralci di vite e grappoli d'uva, due damigiane spagliate e il ritratto
del suddetto Tobaldi che, essendo riuscito alquanto brutto, fu in seguito
trasformato in quello di una bella donna. Nella parete di destra era stata
dipinta La nave di Nemi.
Sotto gli affreschi,
in appositi medaglioni raffiguranti dei pesci, erano state riprodotte le firme
dei pittori e quella di Trilussa».
E da Velletri, ultimo avamposto prima delle insidiose Paludi, si
spingeva nella piana pontina
alloggiando per diversi anni al Circeo nell'antica Torre Paola, rimanendo
affascinato da quello spettacolo primigenio della natura fuori del tempo e
dello spazio.
La sua sensibilità artistica seppe ritrarre gli aspetti selvaggi e pur
suggestivi di quelle terre
abbandonate dall'uomo incurante dei pericoli ed anzi, come ricorda Renato Guidi
che lo conobbe, egli soleva «patire con i malarici e soffrire con i poveri dentro
le umili capanne tremolanti come membra umane in preda al delirio della
febbre».
Fu una tra le «voci»; da Giovanni Cena a Sibilla Aleramo, che si
levarono a difesa di quella
«immobile immensità fuori del tempo e della Civiltà» e soprattutto a favore degli
uomini e degli animali che vi lavoravano quasi condannati a «vivere morendo»,
denuncia sociale ante litteram che gridava, senza retorica e senza
falsità, che alle porte di Roma agli inizi del secolo c'era ancora la «Mal'aria»
e, come scriveva Gabriele D'Annunzio, la palude era «come un fiore lutulento
che il sol d'agosto cuoce con non so che dolcigna afa di morte».
«La vita è attraente solo per colui che, come noi,
passeggia lungo il più bello dei mari,
osservando il dondolio delle barche e il tremolio delle luci sull'acqua»,
diceva Ferdinando Gregorovius guardando sgomento chi invece era costretto ad
affrontare le Paludi su quella Regina viarum che le attraversava tesa
come un tendine e, quasi eco della nostra anima, sentiamo ancora risuonare la
lapidaria risposta di un mietitore abruzzese al viaggiatore che presso
Terracina ingenuamente gli chiedeva come si vivesse in quei luoghi: «Signore,
qui non si vive; si muore!».
Mario Ciancia, e tanti altri pittori e letterati,
sia italiani che stranieri, anziché
rifuggire da tali luoghi, incurante del pericolo, «impugnava la tavolozza ed i
pennelli per riprodurre i suggestivi tramonti dell'agro così mutevoli di tono».
Il suo temperamento sentimentale ed il carattere di pensatore lo portava a
contatto della palude «perché la solitudine, l'aspetto selvaggio e pur
suggestivo di quelle terre, potevano dargli degli spunti pittorici singolari,
ed allora si accodò a Sartorio ed a Serra per esplorare l'inesplorato, non
importandogli di affrontare disagi e pericoli, ed essere soddisfatto soltanto
quando, rientrando, oppure sostando nelle capanne di pecorai, poteva recare con
sé il documento vivo del desolato aspetto dei luoghi visitati».
Che fine hanno fatto questi
quadri
Dopo la Mostra retrospettiva
dell'Agro pontino allestita a Littoria nel 1939, dove il quadro «Ninfa» venne acquistato dalla
Casa Imperiale del Giappone e quello rappresentante «Cow 'era la Palude pontina a Piscinara»
riscosse unanimi consensi, dobbiamo attendere il 1982, in occasione
dell'Esposizione per il cinquantenario della fondazione di Latina, per vedere esposte
tre sue opere rappresentanti «II Lago di Fo- gliano», le «Paludi
pontine» ed una replica di «Ninfa», la piccola Pompei del Medioevo»
e, di recente, l'Asta del Palazzo Ducale di Giove dei Conti d'Acquarone in cui
vennero alienate, dopo un'accanita gara tra due contendenti interessati al
Ciancia, tre splendide opere rappresentanti la «Foce del Linea a Badino»,
«Un mattino a Foce Verde» e «Una sera al Lago di Fogliano», olii
che, grazie alla «caparbietà» dell'antiquario
che è riuscito a prevalere, si sono ammirati in una retrospettiva allestita a
Velletri da Giorgio Odak e Renato
Mammucari
Durante tutto questo lungo silenzio per ammirare i quadri di Mario
Ciancia si doveva avere il
privilegio di essere invitati nell'austero e pur ospitale salotto di Villa Cellucci dove la nipote Maria Annunziata
Filippi, Mietta per gli amici pittrice anch'essa che con l'altra allieva Maria
Prosperi ne perpetuava il ricordo e l'arte conservava gelosamente le ultime opere che
questo pittore dedicò all'Agro romano ed alle Paludi
Pontine.
Ora, raccogliendo quel suggerimento che
Renato Guidi non ebbe la gioia di veder realizzato,
dopo che il Comune di Velletri lo ha ricordato nella propria toponomastica,
viene questa pubblicazione che vuole essere solamente un'occasione per dare
inizio ad un discorso ancora più completo ed organico
sulla vasta produzione pittorica di Mario
Ciancia, genuino figlio della sua terra.
L'anima di questo artista, che riuscì a
sentire più di ogni altro il sentimento di quei luoghi, continua a parlare attraverso il colore dei suoi
quadri che ci riportano paesaggi desolati in cui
il sole si rifletteva nel fango e nell'acqua stagnante ed immota, in
quell'acqua che fu il leit motiv della sua arte ed a cui dedicò, con
generosità e nobiltà di intenti,
tutta la sua vita.
Quello straordinario gruppo di
amici
Come abbiamo detto villa Ciancia, al Cigliolo
era un ritrovo di artisti e uomini di cultura. Si è trattato di un cenacolo di
pensiero spontaneo che ha raccolto i massimi esponenti dell’arte romana del
novecento, vogliamo ricordarli:
Cesare Maccari
nasce a Siena il 9
Maggio 1840 inizia la sua attività artistica come scultore in seguito passa poi
alla pittura. Studia all’ Accademia di Siena. Personalmente studia i veneti del
XVI secolo e i fiorentini rinascimentali.
Arrivato a Roma viene incaricato dalla famiglia
Savoia per la decorazione della Cappella reale del Sudario che completa nel
1873. Segue la sala gialla del Senato.
Dopo alcune decorazioni nelle chiese del suo
territorio natio. Maccari lavora al Palazzo di Giustizia a Roma, una paralisi
lo colpisce nel 1909 e gli fa abbandonare ogni attività. Muore il 7 Agosto 1919
ed è sepolto al Verano.
Giulio Aristide Sartorio nasce a Roma l’ 11 Febbraio 1860. Inizia la sua
attività artistica sulle orme del padre Raffaele e del nonno Guglielmo. Lavora
dal vero nella campagna romana, ed espone nel 1882 all’ Esposizione di Roma il
dipinto Malaria.
Questo quadro è nello stile verista, adottato
dal Michetti e dal Palazzi. Coltiva anche relazioni nel giro – artistico
mondano di Roma e collaborando con la rivista cronaca bizantina stringe
amicizia con D’Annunzio, conosce Carducci e Eldorado Scarfoglio.
Illustra l’ Isotta Gottadauro di D’Annunzio e
poi con Michetti nel 1889 espone a Parigi i figli di caino, premiato con
Medaglia d’Oro. Ospite di Michetti a Francavilla al Mare lavora al paesaggio
interpretato secondo un gusto decorativo.
Insegna disegno in Germania, rientrato fa parte
del gruppo dei XXV della campagna romana, espone a Venezia nel 1914 ottanta
tempere e dipinge fregi allegorici a chiaroscuro per le Biennali veneziane del
1905 e del 1907.
Tra il 1908 e il 1912 lavora al fregio di
Montecitorio ed inizia ad insegnare in Accademia a Roma. Durante la prima
guerra mondiale parte volontario.
Muore nel 1932 il 2 Ottobre dopo aver avuto
l’incarico di realizzare la decorazione del Duomo di Messina, ma realizza solo
il bozzetto.
Enrique Serra Barcellona 1859 – Roma 1918. La sua formazione
la fa nella natia Spagna. Nel 1877 arriva a Napoli e l’anno seguente a Roma. Si
dedica alla pittura di storia e poi a quella di paesaggio.
Nel 1883 fu eletto membro dell’ Arcadia e dell’
Accademia Nazionale di S. Luca. Attivo a Roma prese parte a numerose mostre.
Onorato Carlandi (Roma 15 maggio 1848 – 11 Aprile 1939) Destinato dalla famiglia alla professione
forense si iscrisse all’ Accademia delle Belle Arti di Roma. A soli 18 anni fu
volontario a servizio di Garibaldi.
Fonda la società degli acquerellisti romani.
Dopo il suo ritorno dall’Inghilterra fonda con altri il gruppo dei XXV della
campagna romana di cui divenne l’artista più rappresentativo.
Veniva chiamato il “capocetta” titolo che in
precedenza era stato di Enrico Coleman.
Nel 1899 partecipa alla III Esposizione
internazionale d’arte di Venezia.
Antonio
Mancini Albano Laziale 14
Novembre 1852 – Roma 28 Dicembre 1930. La sua inclinazione alle arti si
manifesta in piena adolescenza, aveva dodici anni quando venne ammesso all’
Accademia delle Belle Arti di Napoli.
Si dedica al ritratto e alla pittura di genere
aneddotico con notevoli risultati. Rimane a Napoli fino al 1873 anno in cui si
trasferisce a Parigi, fu conosce Degas e Manet.
A seguito di una crisi nervosa rientra in
Italia., quattro anni dopo ritorna in Francia va anche a Londra e si riconferma
un artista di successo.
Ritornato definitivamente in Patria si
stabilisce a Roma, viene accolto nell’ Accademia d’ Italia nel 19129. Muore nel
1930 ed è sepolto nella navata di destra della Basilica dei Santi Bonifacio e
Alessio sull’ Aventino.
Filiberto Petiti Torino
1845 – Roma 27 Luglio 1924. Petiti impara a dipingere nella sua città natale
alla scuola del Cerreti. I suoi veri maestri furono Piacenza e Beccaria.
Per molto tempo non potè dedicarsi
completamente alla sua arte, essendosi avviato alla carriera amministrativa per
volontà dei genitori. Conobbe i macchiaioli ma non si fece influenzare dalla
loro tendenza troppo lontana al suo spirito.
Petiti fu soprattutto il pittore dei paesaggi,
ottimamente disegnati e solidamente costruiti.
Un solo ritratto o meglio come Petiti stesso vi
ha scritto un tentativo di ritratto fatto all’amico Mario Ciancia oggi in
collezione privata.
Giovanni Trussardi Volpi Clusone 1875 – Lovere 1921 riceve i
primi insegnamenti dallo zio materno Giuliano Volpi pittore e restauratore.
Frequenta l’ Accademia Carrara di Bergamo. Consegue il titolo di professore
all’Istituto di Belle Arti di Firenze.
Viene mandato ad insegnare all’ Istituto d’arte
di Bologna ma rinuncia preferendo il libero esercizio della professione
artistica. A Roma lavora a studio di Antonio Mancini. Espone nelle più
importanti sedi romane.
Carlo
Alberto Salustri “Trilussa” senatore a vita della repubblica italiana Roma 26 Ottobre 1871 – 21 dicembre 1950.
Divenne famoso in Italia per i suoi versi in dialetto romanesco alcune avverse
al regime fascista.
Tra il 1913 e il 1920 abita a Campo Marzio dove
trovò l’amore con una ragazza
trasteverina. L’Italia è in guerra e Trilussa ne racconta i dolori in lupi e
agnelli pubblicato nel 1919.
Non frequenta i caffè ritrovo degli
intellettuali del suo tempo, ma preferisce le osterie anche se veste elegante.
La sua fama ormai lo porta a scrivere testi per Fregoli e Petrolini, ma ha
problemi economici le sue entrate sono appena sufficienti per vivere.
Soffre d’asma e questo lo porta a rinunciare
alle passeggiate e alle osterie. Nel 1944 esce
l’ultima raccolta di poesie “acqua e vino” poi sarà il silenzio.
Nel 1950 il presidente della Repubblica Luigi
Einaudi lo nomina senatore a vita. Come risposa alle espressioni di
congratulazioni disse: “. “hanno trovato il sistema di seppellirmi prima del
tempo”. Morirà il 21 Dicembre dello stesso anno.
La famiglia Filippi
Giusto e doveroso, un paragrafo che illustri la
storia della casa Filippi, per far ben comprendere a chi legge quale sia stato
il prestigio della famiglia Ciancia.
Ma soprattutto permettere al lettore di
conoscere una pagina della storia cittadina, importante perché alcuni
personaggi di questa famiglia sono stati probi amministratori e notabili
veliterni che hanno lasciato quella foscoliana eredità d’affetti che oggi li
rende ancora vivi nella memoria.
Però prima di iniziare a scrivere questo
capitolo, voglio premettere serenamente per tacitare ogni commento che potrebbe
scaturire dalla mia omonimia per cognome che quanto scritto non è alcuna
pretesa al titolo ne tanto meno a nient’altro privilegio ma solamente dettato
dall’amore per la storia patria.
“ io vidi gli Ughi e i Catelini e i Filippi che
nel dir furono illustri cittadini “
Così il
sommo poeta nel XVI canto del Paradiso cita questa antichissima famiglia che
prende le sue origini proprio dalla nobile Florenza. Essi abitavano in mercato
novo per il loro prestigio e la loro potenza furono ben presto ammessi a far
parte della magistratura fiorentina. Gli archivi toscani parlano della famiglia
fin dai tempi antichi il primo ad essere citato è Brunello cavaliere di Carlo
Magno imperatore.
Nel 1347 gli storici fiorentini ci riferiscono
che i Filippi sedevano sugli scranni di Gonfaloniere di Giustizia e Priore di
Libertà e che i loro stemma compariva nel conio corrente.
Villani nelle sue cronache riferisce che nel
1310 Simone Filippi era tra gli ambasciatori di Arrigo di Lussemburgo a Firenze
dove venne ricevuto con tutti gli onori. Simone Filippi nel 1331 come Vicario
di Giovanni di Boemia fece fare aste e battifogli nel castello della
Garfagnana.
Negli ultimi anni del XV secolo la famiglia
compare nel patriziato romano secondo il testamento di Mons. Filippo I che fu
segretario di Stato dei Pontefici Alessandro VI e Innocenzo VIII. Ai tempi di
Eugenio IV il nobile Giovanni Battista Massa sposa Olimpia Filippi.
Gli archivi continuano a fornirci notizie
relative alla presenza romana dei Filippi attraverso il testamento di un
secondo Mons. Filippo Filippi che fu governatore di Velletri con mero e misto
imperio. Clemente VII in ricompensa dei servigi resi alla Santa Sede concesse
alla famiglia il feudo di Pontecorvo con il titolo di Conti.
I Filippi in questo momento rinnovano la loro
aggregazione all’ ordine senatorio del Campidoglio dove ricoprirono gli scranni
di Capi Rione e Conservatori.
Nel 1528 Leone da Pontercorvo venne a
stabilirsi a Velletri, poco dopo lo raggiunse anche Filippo suo fratello. La
residenza urbana era proprio a ridosso dei confini tra le Decarcie di S.
Salvatore e S. Maria.
Dopo il loro arrivo a Velletri i Filippi si
legarono ai più importanti casati cittadini: Donna Esuperia Borgia sposa il
Conte Paolo Filippi, il Conte Carlo Maria Toruzzi era figlio di Maria Flaminia
Filippi, mentre Maria Flaminia era figlia di Giuseppe Felice che fu più volte
Priore e Consigliere comunale. Giuseppe Felice Filippi era figlio di Filippo e
Clelia Gallinella anch’essa di nobile famiglia. Francesco Filippi fu più volte
estratto Priore e Consigliere, fu ambasciatore della città presso il Sommo
Pontefice.
Lorenzo era figlio di Biagio fu protonotaro
apostolico e cappellano di Pontecorvo. Giuseppe Antonio figlio di Niocola sposò
Vittoria Landi fu capitano di fanteria, alfiere della Guardia del Conclave,
Sergente Maggiore di Marittima e Campagna. Antonio fu capitano a Ferrara di una
compagnia di Archibugieri a cavallo. Sotto Paolo V ebbe il comando di una
compagnia di leva e di una degli eserciti di marittima e campagna. Giovanni
Battista figlio di Cesare fu Tenente dell’ esercito pontificio ai tempi della
rivoluzione di Napoli in seguito fu al servizio del Re di Spagna. Nicola
Filippi figlio di Cesare fu colonnello della Serenissima Repubblica di Venezia
durante la guerra in Dalmazia. Sotto Innocenzo X comandò una compagnia di leva
degli eserciti della Chiesa.
Nel 1651 lo troviamo comandante dell’ esercito
del Re di Napoli. Comandò più volte la guardia del Conclave con il grado di
sergente maggiore difese quelli dove vennero eletti Alessandro VII e Clemente
XI. Giuseppe figlio di Giovanni Battista fu capitano di fanteria destinato in
Dalmazia. Giulio Filippi (jr) fu dottore in legge e celebre avvocato di curia.
Filippo figlio di Leone sposò Atonia Fiscali da cui nasce Ercole che fu
capitano di Clemente VIII. Giulio dopo aver esercitato la professione forense
vestì l’abito francescano nella famiglia dei Minori con il nome di fra
Ludovico. Francesco figlio di Filippo sposò Flaminia Petrucci da cui nacque Francesco
destinato alla prelatura per testamento paterno.
Fu canonico di Santa Maria Maggiore in Roma
consacrato Vescovo venne mandato a Manfredonia. Lorenzo fu capitano dell’
esercito pontificio. Giuseppe Filippi figlio di Francesco
sposò Agostina Muzi nobile romana questo
matrimonio gli permise di riabilitare il nome della famiglia a Roma. Francesco
nipote di D. Filippo fu costituito governatore di Velletri. Cesare Filippi
figlio di Giovanni Battista ebbe
tutti gli onori del magistrato cittadino, fu
Capo Priore in molte estrazioni. Tenne anche gli altri uffici governativi della
nostra città. Durante l’anno santo del 1625 sotto Urbano VIII fu capitano dell’
esercito pontificio. Tenne ai suoi ordini una compagnia di fanti. Come si legge
dalla patente del Cardinale Antonio Barberini egli fu colonnello.
Sotto il
pontificato di Clemente VIII comandava una compagnia di leva. Fu sergente
maggiore del presidio di Ferrara e di Marittima e Campagna. Antonio Filippi
fratello di Cesare tenne il comando di una compagnia di leva a Ferrara durante
il Pontificato di Paolo V fu capitano di fanteria, maestro di camera della
principessa Savelli. Francesco Filippi figlio di Cesare dottore in legge,
governatore di molte città dello stato pontificio. Giovanni Battista Filippi fratello
di Francesco fu tenente dell’ esercito napoletano e generale della cavalleria
del Re di Spagna. Nicola Filippi fu alfiere dell’ esercito di Venezia, capo
truppa di un reggimento del conte Rovorelli, luogotenente generale di Santa
Chiesa, capitano dell’ esercito del Regno di Napoli. Alfiere della guardia del
conclave per la morte di Innocenzo X.
Col grado di tenente comandò la guardia al
conclave per la morte di Alessandro VII. Sergente Maggiore di Marittima e
Campagna. Francesco Filippi chierico di camera e segretario dei Pontefici
Innocenzo VIII e Alessandro VI, Pietro Filippi Vescovo di Buiano, Lorenzo
Filippi Cappellano segreto di Paolo III protonotaro apostolico sopranumerario.
Filippo Filippi protonotaro apostolico, Vicario in tempo di Leone X con la
facoltà di concedere benefici. Antonio Filippi capitano degli Archibugieri a
cavallo a Ferrara e di fanteria nella provincia di Campagna. Nicola Filippi
sacerdote dottore in legge e teologia, Protonotaro Apostolico.
A noi interessa l’ultimo capitolo di questa
storia, che si innesta con quella della famiglia Ciancia – Perrone attraverso
il matrimonio delle due sorelle Eugenia e Lidia con i fratelli Carlo e
Gioacchino Filippi
Eugenia Ciancia Perrone
Velletri 28 Gennaio 1879 – 23 Ottobre 1918
La prima figlia femmina di Antonino e Lucia
nasce il 28 Gennaio 1879. Il Parroco di S. Michele Arcangelo Don Spiridione
Bertolini il 9 Febbraio dello stesso anno gli impone i nomi di Eugenia Angela
Delfina. La bimba cresce nella casa di Via Ginnasia n 7.
Frequentando la Velletri bene del suo
tempo, conosce il figlio primogenito maschio di Lorenzo Filippi Conte di
Pontecorvo e di Luisa Calcagno duchessa di S. Giorgio. Franco Carlo Filippi.
Tra i ragazzi nasce una simpatia che sfocerà poi in amore.
Il 21 Dicembre 1899 davanti all’ Arciprete del
SS.mo Salvatore Don Giovanni Navarra nella Cappella gentilizia in Santa Maria
in Trivio si uniscono i matrimonio testimoni il prof. Umberto Fisso e lo zio di
lei Oreste Nardini ispettore onorario ai monumenti e scavi di velletri. Dal
loro matrimonio il 25 Maggio 1903 nasce un maschio al quale l’ arciprete del
ss.mo salvatore impone i nomi di Leone Giuseppe Luigi padrini furono il nonno
materno Antonino Ciancia Perrone e la nonna materna Luisa Calcagno duchessa di
S. Giorgio.
Leone avrà l’ingrato compito di scrivere la
parola fine sulla gloriosa storia della famiglia Filippi. Infatti non avendo
avuto eredi maschi ma solo una figlia femmina, con lui si estingue la famiglia
Filippi e cessa la successione al titolo di Conte di Pontercorvo. Eugenia muore
dopo aver contratto la spagnola durante l’epidemia che devastò le nostre terre
nei primi anni del XX secolo, assistita amorevolmente dalla sorella Lidia .Era
infatti il 23 Ottobre 1918.
Riposa nel cimitero di Velletri, da poco
ristretta è stata traslata nella tomba della famiglia Cellucci dove riposa
anche la nipote Maria Annunziata (Mietta).
Due fratelli sposarono due
sorelle
Durante un viaggio agli inizi del XX secolo, si
conobbero Lidia Ciancia Perrone con Gioacchino Filippi dei Conti di
Pontercorvo, secondo genito maschio del conte Lorenzo e della Duchessa di S.
Giorgio Luisa Calcagno.
Dai ricordi giunti fino a noi, attraverso la
testimonianza di Cilla Cellucci, nipote di Lidia, fu un viaggio avventuroso,
Lidia e Gioacchino erano partiti con Carlo ed Eugenia per accompagnare i
rispettivi fratello e sorella,i quattro si muovevano in macchina.
Lidia raccontava lo stupore dei bambini in un
casale al vedere l’automobile e quando si fermarono per chiedere ospitalità gli
venne preparato anche una cena.
Guidava la macchina il conte Carlo ma gli
ignari contadini non potevano saperlo lo videro sporco e impolverato e chiesero
ingenuamente: “l’autista magia con voi?”
La risposta: “si certo siamo molto
democratici”. Questo viaggio fu
galeotto per Lidia e Gioacchino, tra loro scatta una simpatia che diverrà poi
amore coronato nella cappella di famiglia a Santa Maria in Trivio.
Passarono la notte di un casale di campagna, in
due stanze separate. Carlo e Gioacchino in una e le sorelle Ciancia in
un'altra. Le ragazze trovarono il letto caldo.
Carlo e Gioacchino avevano scaldato le lenzuola
mettendosi a letto prima di loro e poi si sono alzati per farle dormire.
Le sorelle Ciancia sicuramente avevano studiato
privatamente, eleganti nel portamento, purtroppo per Eugenia la vita non fu
tenera infatti come abbiamo detto morirà di spagnola, assistita amorevolmente
dalla sorella Lidia.
Lidia stessa ha testimoniato quante volte al
giorno dopo averla curata e assistita doveva cambiarsi d’abito e lavarsi per
poi andare dai figli. Erano donne di nobile lignaggio ma non hanno mai
ostentato il loro titolo e fatto valere la loro casta.
Nello stesso stile di comportamento anche i
mariti e il figlio di Eugenia Leone. Il conte che era un avvocato aveva due
biglietti da visita uno professionale e l’altro istituzionale.
Diceva sempre:”dell’avvocato sono fiero
perché me lo sono sudato del conte non è certo merito mio”
Gentiluomo tutto d’un pezzo tanto che in un
momento difficile della sua vita, ha subito tutte le conseguenze che lo hanno
portato a vivere in solitudine se non con l’affetto dei pro nipoti pur di non
rivelare alcuni aspetti della sua vita e dare la sua versione degli eventi che
lo avevano portato a prendere una decisione, alla persona più importante della
sua vita sua figlia.
Questo era Leone Filippi e così erano i Filippi
della sua generazione e delle generazioni precedenti, oggi bisognerebbe
prendere esempio per poter meglio capire ed affrontare le difficoltà
giornaliere.
Lidia Rosa Giulia Nazzarena Ciancia Perrone
Velletri 9 Ottobre 1882 – Bari 6 Marzo 1969
La seconda figlia femmina di Antonino e Lucia
Nardini, nasce il 9 Ottobre 1882. Il parroco di S. Michele Arcangelo Don
Spiridione Bertolini gli impose i nomi di Lidia Rosa Giulia Nazzarena. La
ragazza cresce nella casa di Via Ginnasia n°7 fino al suo matrimonio celebrato
nella cappella gentilizia dei Filippi in Santa Maria in Trivio il 15 Luglio
1906 con Gioacchino Filippi dei Conti di Pontecorvo.
Dal loro matrimonio nascono cinque figli due
maschi e tre femmine. Il primo Antonino nasce morto. Il 12 Novembre 1909
nasce la prima femmina Adriana che viene battezzata al casale di Colle
Ottone e muore il 12 Febbraio 2000.
Il 25 Marzo 1912 arriva un'altra bambina che
viene battezzata a Palazzo Filippi con i nomi Maria Annunziata (Mietta)
e muore il 27 Luglio 1993, due anni dopo arriva Alessandra Lorenza Giuseppa battezzata
a San Salvatore dall’ Arciprete Vincenzo Prosseda padrini erano gli zii Mario
ed Eugenia Ciancia e muore il 12 Gennaio 1991.
Il 18 Giugno 1918 nasce Lorenzo che
viene battezzato a San Salvatore padrino il cugino Leone. Lorenzo muore in mare
ad Ostia il 20 Maggio 1934.
Lidia è vissuta fino al Marzo del 1969 ed ha
potuto raccontare alle nipoti tanti particolari che oggi sono stati preziosi
per la ricostruzione di questa storia.
Leone Giuseppe Luigi Filippi
Velletri 23 Maggio 1903 – Fiuggi 9 Luglio 1986
Figlio di Carlo ed Eugenia Ciancia, a nasce a
Velletri il 23 Maggio 1903 l’arciprete del SS.mo Salvatore Don Giovanni Navarra
lo battezza imponendogli i nomi di Leone Giuseppe Luigi, suoi padrini furono i
nonni Antonino Ciancia Perrone e Luisa
Calcagno Duchessa di S. Giorgio.
Leone intraprende la carriera forense. Fu
l’ultimo nobile veliterno in servizio in Vaticano, nel corpo della Guardia
Nobile Pontificia della quale ricopriva il grado di Tenente in seconda quando il beato Paolo VI
sciolse il corpo nel 1970.
Mantenuto poi il titolo di Gentiluomo di Sua
Santità fino alla morte. Leone sposa il 6 Giugno 1934 nella Chiesa di S. Vitale
a Roma lungo la Via Nazionale
Antonella Maria Marchetti Segni dalla quale avrà una figlia Paola Eugenia.
Con lui si estingue la famiglia dei Filippi e
cessa la successione al titolo di Conti di Pontercorvo, il conte muore a Fiuggi
mentre era in vacanza il 9 Luglio 1986, riposa nella cappella della Pia Unione
del Sacro Cuore nel cimitero monumentale del Verano a Roma.
Leone era un ufficiale della Guardia Nobile
Pontificia. Questa venne costituita l’ 11 Maggio 1801 da Papa Pio VII (Luigi Barnarda
Chiaramonti) come reggimento di cavalleria pesante.
Comprendeva l’ex corpo delle lance spezzate,
disciolto il 20 Febbraio 1798 e seguito dell’occupazione francese di Roma,
unito ai cavalleggeri pontifici.
Il corpo fu anche chiamato “cavalleggeri” era
composto da reclute provenienti dai cadetti delle famiglie nobili ed era
inizialmente diviso in due compagnie.
All’inizio questo reggimento doveva servire
come scorta personale per il pontefice, nonché per le maggiori cariche dello
Stato Pontificio inviate per conto del pontefice nelle province in missioni
particolari.
Uno dei compiti della Guardia era quello di
dare l’annunzio di nomina ai nuovi cardinali che abitavano fuori Roma,
consegnado lo zucchetto cardinalizio.
Il primo militare ed espletare tale funzione fu
il marchese Costaguiti che nel settembre del 1801 annunciò a Antonio Felice
Zondadari la nomina ad Arcivescovo di Siena.
Una delle missioni più note eseguite da questo
corpo fu l’aver scortato Pio VII a Parigi per l’incoronazione di Napoleone
Bonaparte nel 1805.
Nello stesso viaggio si trovava il Cardinale
Stefano Borgia veliterno Prefetto della Sacra Congregazione di Propaganda Fide
che morirà a Lione il 23 Novembre 1804.
Il corpo venne sciolto dopo la seconda
invasione francese, salvo poi essere ricostituito dallo stesso Pio VII con
decreto del 4 Ottobre 1815 (in realtà i reparti si erano già ricostituiti
spontaneamente nel 1814. Il decreto sancì una realtà già in essere).
Nel 1824 Leone XII unificò le due compagnie
additandole ad un unico comandante con mandato a vita-
Dopo l’Unità d’Italia era l’annessione degli
Stati della Chiesa al nascente Regno d’Italia la guardia nobile rimase in
servizio ma mutà la propria natura divenendo un corpo elitario di guardie a
piedi.
Affiancatesi sempre più, per servizio alla
Guardia Palatina d’onore e alla Guardia Svizzera pontificia, la Guardia nobile venne
sostituita da quest’ultimo corpo nelle proprie funzioni per volere del Beato
Paolo VI il 14 settembre 1970 come parte delle riforme introdotte dal Concilio
Vaticano II.
Gli appartenenti al corpo erano volontari.
Nessuno veniva pagato e dovevano provvedere al proprio armamento ed
all’acquisto e alla manutenzione della propria uniforme.
Date queste condizioni il numero degli aderenti
era ristretto ed erano appartenenti alla aristocrazia di baldacchino, ovvero
appartenevano alle famiglie romane legate alla Santa Sede da cui anche il nome
di Guardia Nobile.
Il comandate del corpo col rango di capitano
aveva tra i sottoposti un alfiere con il compito di portare lo stendardo con le
insegne pontificie. La guardia appariva in pubblico solo nelle occasioni in cui
era presente il Santo Padre, durante la sede vacante si metteva al servizio dei
cardinali.
Svolgeva anche il servizio di scorta per la
sicurezza personale del Papa, ad esempio durante le passeggiate nei giardini
vaticani due guardie seguivano il Pontefice a distanza. Cosa che oggi fa la Gendarmeria Vaticana.
Leone si congeda dalla Guardia Nobile il 3
Giugno 1966 con il grado di tenente in seconda, il Presidente della Repubblica
Luigi Einaudi gli conferisce il titolo di Cavaliere della Repubblica il 30
Dicembre 1952 e nel 1959 il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi gli
conferisce il titolo di commendatore della Repubblica.
Muore a Fiuggi mentre era in vacanza il 9
Luglio 1986, riposa nella cappella della Pia Unione del Sacro Cuore al Verano
di Roma.
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